un po' di pazienza

L'algoretica di Fra Paolo

Cosa portare a casa (e in azienda) dalle parole di Paolo Benanti all’assemblea 2023 di AITI?

Benanti è un simpaticissimo frate romano, che con la sua ironia e capacità di rendere comprensibili tecnologie complesse, è riuscito a unire l’ingegneria a San Francesco, ma soprattutto a battezzare una nuova “disciplina”: l’algoretica.

Di cosa parliamo? Di come gestire rischi e opportunità che l’intelligenza artificiale (AI) ci propone. 

Il problema fondamentale, ha spiegato Benanti, è che con l’AI non siamo di fronte ad algoritmi che forniscono risposte predefinite come nell’informatica classica, ma a macchine che imparano da grandi masse di dati che forniamo e che possono fornire risposte a problemi non noti (quello nel quale pensavamo di essere bravi noi umani). 

Come utilizzare queste risposte? Deleghiamo? Ci fidiamo? Funzionano? Non abbiamo più bisogno di persone? O abbiamo bisogno di persone che sappiano dialogare con le macchine? Insomma, l’elenco di domande, senza arrivare a quelle da film fantascientifico di superintelligenze che potrebbero annientarci, è comunque lungo.

Intervistato da Stefano Modellini, direttore di AITI, sul palco del teatro di Chiasso, Benanti ha evidenziato anche i rischi di un’algocrazia. L’AI è forte con i modelli predittivi, significa che può monitorare anomalie per prevedere come evolverà un sistema, è molto utile per sapere se e quando un motore ha bisogno di manutenzione, ma quando si applica al comportamento delle persone? Ecco che allora si può indurre qualcuno a fare qualcosa (cosa comprare, cosa votare). Per esempio, l’AI che troviamo sui siti, quella che ci consiglia cosa comprare, quella della gamification, aumenta le vendite del 10-15%. Per Benanti riuscire a influenzare il 15% dei comportamenti della popolazione equivale ad avere un potere come quello di una legge. Ecco allora che il potere è ora detenuto in parte dall’algoritmo.

Che fare nelle aziende con l’AI? Innanzitutto, Benanti ha evidenziato una questione strategica, se l’AI diventa un vantaggio competitivo, sarebbe bene che a livello nazionale o europeo ci fosse una volontà politico-imprenditoriale di sviluppare un modello AI alternativo a quello USA, magari cercando una migliore soluzione matematica anziché investendo sulla potenza di fuoco dei dati.

Il tempo dell’intervista è volato via rapidamente grazie all’arte affabulatoria di Benanti, ma cercando tra le sue opere un’indicazione per l’imprese c’è, è quella dell’AI Ethics Manager. Il ragionamento è semplice, se un’azienda decide di investire in modo strategico nell’AI per la gestione dei suoi processi, le domande sull’impatto, sul giusto e lo sbagliato, deve porsele prima e durante, dopo potrebbe essere troppo tardi.

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